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Joseph Polimeni
Direttore Generale Azienda Sanitaria Friuli Occidentale (As Fo)
E’ stato un anno horribilis che rimarrà nei libri di storia che leggeranno i nostri figli e i nostri nipoti. E’ stato un anno di grandissimo disagio per diversi settori di attività. Io mi occupo degli aspetti squisitamente sanitari ma sappiamo che le pandemie investono tantissimi altri ambiti, l’emergenza non è solo sanitaria ma del lavoro, sociale, economica. Se vogliamo anche di paradigma per il futuro.
Il Covid ha messo sotto grande stress tutto il settore sanitario. Subito per noi, per me, per il direttore sanitario e quello amministrativo, si è palesato il bisogno di intervento, che abbiamo cercato di declinare operativamente nei diversi atti assunti e nelle diverse trasformazioni organizzative che abbiamo dovuto implementare. Un aspetto importante è che questa pandemia ha fatto uscire dalla latenza una serie di problematiche che evidentemente erano sotto traccia, che covavano sotto la cenere. Innanzitutto, ci ha obbligato ad avere una visione complessiva dei sistemi organizzativi obbligandoci a promuovere un assetto multidisciplinare e una forte integrazione inter professionale. Di fronte ad un’emergenza di questo calibro, l’approccio ‘one to one’ – ovvero non avere una visione della foresta, come dico io, ma averla di un solo albero o di un singolo picciolo – non è vincente. Tutti i macro settori dell’azienda, il settore ospedaliero, il settore territoriale, il dipartimento di prevenzione hanno dovuto cooperare attraverso una visione multidisciplinare e una forte integrazione inter professionale. Abbiamo avuto bisogno di una visione complessiva che mettesse in gioco più risorse umane, più professionalità abbattendo anche quegli steccati un po’ rigidi che a volte si sono sedimentati nelle nostre organizzazioni, a valle anche di alcuni atti normativi, nel corso dei decenni, non molto lungimiranti, che hanno sclerotizzato alcuni assetti creando delle isole autarchiche.
Il primo grande insegnamento di questa pandemia, dunque, è che dobbiamo avere una visione complessiva. L’azienda ha sostanzialmente dovuto realizzare una serie di potenziamenti, di correzioni nel dipartimento di prevenzione, che è quel dipartimento che al nostro interno si occupa di mettere in campo tutte le misure di sanità pubblica. In un’emergenza pandemica di questa portata ha dovuto gestire tutta la fase del cosiddetto contact tracing, della tracciatura dei contatti stretti dei soggetti positivi. Abbiamo dovuto attrezzare una centrale per il tamponamento in modalità drive through, abbiamo dovuto stipulare convenzioni con alberghi sanitari per la gestione della quarantena dei soggetti positivi. Abbiamo dovuto rivedere e potenziare l’assetto del dipartimento prevenzione. Poi, ovviamente, c’è stato un sovraccarico delle strutture ospedaliere. Nella nostra area vasta pordenonese, abbiamo tre ospedali, quello di Pordenone, San Vito al Tagliamento e Spilimbergo. Mentre San Vito al Tagliamento è sempre stato un ospedale Covid free, non vi sono mai stati ricoverati pazienti Covid, per una nostra scelta strategica invece Pordenone, che ha delle alte specialità, e anche Spilimbergo sono stati investiti della gestione dei pazienti Covid. Il direttore sanitario ha dovuto riorganizzare i reparti, attivare letti aggiuntivi, rimodulare i flussi, assicurare segregazioni dei percorsi. Negli ultimi giorni stanno molto diminuendo i ricoveri. Ci sono due soglie critiche che il Ministero monitora molto attentamente: il tasso di saturazione dei letti di area critica, in particolare di terapia intensiva (30%). Nel momento in cui noi andiamo a occupare oltre il 30% dei letti di terapia intensiva con pazienti Covid scatta l’allarme. Così come quando si supera il 40% dei letti occupati in area internistica, medica.
Poi, abbiamo messo in campo una serie di altre importanti riorganizzazioni sul territorio, cominciando dalle strutture di cura intermedia, in particolare le nostre RSA: abbiamo prima attivato l’RSA di Sacile riconvertendola in struttura di cure intermedie per soggetti Covid positivi che non necessitavano più di un ricovero ospedaliero ma non erano ancora abbastanza stabili da poter essere domiciliarizzati. E poi abbiamo riconvertito l’RSA di Maniago. Ora stiamo tornando lentamente alla normalità e questo è un segnale positivo.
Abbiamo investito molto anche a livello domiciliare e questa è un’attività che potrebbe rimanere anche dopo l’epoca Covid, con la possibilità di gestire a domicilio dei pazienti che hanno bisogno di essere monitorati. Abbiamo preso in carico moltissimi pazienti con strumenti che ci ha donato la Regione o meglio che ha acquistato la Protezione civile, come i famosi tablet che hanno una serie di sensori per misurare alcuni parametri vitali consentendo di seguire il paziente a domicilio e cogliere segni che potevano richiedere un approfondimento ospedaliero. Sul territorio si sono attivate le RSA, il telemonitoraggio. Poi, abbiamo attivato due alberghi sanitari che non hanno avuto un grande tasso di occupazione ma sono stati uno strumento in più che abbiamo fornito. Abbiamo attivato le USCA, le unità speciali di continuità assistenziale, con squadre mediche che si recano a domicilio, su mandato dei medici di medicina generale, per gestire la terapia e il monitoraggio. Non dobbiamo infatti avere solo una visione ospedale-centrica ma la sfida del domicilio è molto importante. Le cure che si possono fare a domicilio ben calibrate sono molto importanti e possono prevenire il ricovero ospedaliero.
Certo, in questo momento la grande sfida è quella dell’immunizzazione attiva, ovvero della vaccinazione. Sfida che potrebbe essere risolutiva non per sconfiggere il virus che, come sta emergendo, ci accompagnerà per periodo lungo. Il problema non è tanto la circolazione virale quando l’impatto dei soggetti che si ammalano e hanno bisogno di cure ospedaliere. Infatti, non c’è solo il Covid. Hanno sofferto molto anche i pazienti di altre patologie. Tutta questa riorganizzazione che abbiamo messo in campo per il Covid, su input della Regione e del Ministero della Sanità, ci ha obbligato a ridurre la chirurgia elettiva, la chirurgia programmata, le visite. L’obbiettivo ora è vaccinare, vaccinare, vaccinare sapendo che la finalità non è tanto ottenere un’immunità di gregge ma quella di proteggere i soggetti più fragili che se prendono il Covid si scompensano e finiscono ad occupare i posti letto togliendo opportunità di curarsi a pazienti con altre patologie.
Io sono abbastanza fiducioso che in tempi ragionevoli potremo avere la popolazione più fragile quasi tutta protetta.
L’insegnamento che traggo, dunque, da questa emergenza pandemica è la necessità di aver una visione multidisciplinare, complessiva non parcellizzata della situazione e investire su due grandi filoni, che forse ci eravamo un po’ dimenticati: l’assistenza territoriale, fondamentale per la sanità pubblica del domani, tenendo conto anche del fatto che la nostra popolazione è anziana, e le risorse umane. Il livello ospedaliero è strategico ma va riservato alla fase acuta della malattia. Se noi invece potenziamo il livello territoriale mettiamo anche in campo elementi di proattività che consentono di diminuire i ricoveri ospedalieri.
L’altro elemento sono le risorse umane: noi siamo un’azienda ‘brain intensive’, la forza della nostra azienda è l’anima, l’empatia, la competenza, la conoscenza, l’ascolto, la dedizione, la responsabilità dei nostri professionisti sanitari. Un altro insegnamento che questa pandemia ci ha dato è la centralità del capitale umano: e per questo ringrazio tutti, tutti i nostri 4000 dipendenti – che sono stati molto resilienti. Ex malo bonum, la sfida è stata questa: quando la strada si fa dura, i duri si fanno strada. Avere personale che ha saputo ben gestire queste difficoltà per me è stato motivo di grande orgoglio. L’emergenza pandemica ha investito tutte le dinamiche aziendali, è stata un’emergenza non solo clinica tenendo anche conto del fatto che questa malattia all’inizio non si sapeva proprio come gestirla. E’ stata un’emergenza organizzativa e gestionale che ha stimolato le intelligenze. Una grande sfida, ancora in corso.
Sfida alla quale la comunità ha risposto con grande rispetto delle regole, grande disponibilità ma soprattutto con grande concretezza. Dalle istituzioni è stata espressa collaborazione, capacità organizzativa, capacità di fare rete nell’ottica di valorizzare e preservare il senso del bene comune.