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Chiara Cristini

Esperta in politiche di genere

Se dobbiamo avere uno sguardo ampio, a livello mondiale, constatiamo che ancora oggi la gran parte della popolazione femminile non gode di una effettiva parità. Un divario che si osserva attraverso i gender gap praticamente in tutti gli ambiti, da quello economico a quello politico, a quello sociale, lavorativo e imprenditoriale.
E, malgrado i progressi anche rilevanti degli ultimi anni abbiano migliorato la situazione complessiva, la pandemia e il suo impatto stanno evidenziando come siano proprio le donne a pagare il prezzo più alto, mantenendo ancora distanti gli obiettivi di uguaglianza di genere indicati dall’Agenda 2030.

A livello locale, come Consigliera di Parità quello che ho visto è stato un cambiamento significativo determinato dal Covid. Mentre fino al 2019 ci occupavamo quasi esclusivamente di casi di discriminazione di genere che avvenivano nei luoghi di lavoro, connessi soprattutto alla difficoltà delle madri di conciliazione i tempi del lavoro con quelli genitoriali, dall’inizio della pandemia da un lato sono emerse nuove problematiche, dall’altro se ne sono acuite altre di carattere “strutturale” e già presenti.

Con il lockdown e nei mesi successivi, si è osservato anche qui a Pordenone un disagio significativo per la componente femminile, cui si è chiesto di continuare a lavorare e di farsi carico nello stesso momento della didattica a distanza dei figli e della gestione domestica. Per chi era in smart working è stato molto pesante, ma non solo per loro. Il prezzo è stato elevato non solo per chi ha dovuto trovare il modo di svolgere più ruoli contemporaneamente, ma anche per coloro che sono state espulse dal mondo del lavoro: quelle che avevano contratti a tempo determinato, le stagionali o quelle che lavoravano in particolari settori dei servizi.

Si sta insomma determinando una forte situazione di stress sia per coloro che non hanno più un lavoro, sia per coloro che l’hanno mantenuto, ma sono state sottoposte a carichi ancora maggiori. Basti pensare per esempio alle operatrici socio-sanitarie o a tutte le donne impegnate nei supermercati. Tutte queste tipologie di donne hanno comunque dovuto fare i conti con un’immagine stereotipata e sempre viva di angelo del focolare, di donna tuttofare e asse portante del welfare familistico.

È stata una forma di resilienza proattiva che ha saputo attivare tutte le risorse delle reti sociali e familiari, quella che il genere femminile ha messo in campo per superare non solo quelli che sembravano essere alcune settimane di pandemia, ma mesi e mesi di difficoltà. Ancora adesso infatti, a più di un anno dalla pandemia, constatiamo una continua capacità di adattamento alle situazioni e lo sforzo per riuscire a superare i momenti di criticità.

E comunque, anche in questa occasione, già dai primi giorni del lockdown, ci siamo rese conto di come l’universo femminile abbia avuto una grande capacità di ripensarsi e riprogettare il quotidiano, che si identifica con la resilienza delle donne, una competenza spesso sottovalutata. Fin dall’inizio della pandemia, infatti, dal nostro osservatorio privilegiato abbiamo capito che loro stavano già riprogrammando e ripensando modalità organizzative famigliari e lavorative spesso innovative, prima forse non immaginabili. Una capacità che inizialmente si è data per scontata e non è stata prontamente e correttamente valorizzata.

Quella che il genere femminile ha messo in campo, è stata una resilienza proattiva che ha permesso di superare non solo le prime settimane della pandemia – che si pensava dovesse finire da un giorno all’altro – ma anche i mesi successivi carichi di enormi difficoltà. Ancora adesso a più di un anno da quel marzo 2020, constatiamo una continua capacità di adattamento alle situazioni e lo sforzo per riuscire a superare i momenti di criticità con soluzioni creative e con la logica del problem solving.