Storie
Racconti
dal territorio
Cinzia Raffin
Presidente e Direttrice Scientifica della Fondazione bambini e autismo
La nostra Fondazione si occupa di dare servizi alle persone con autismo e alle loro famiglie lungo il corso della vita: dai bambini anche molto piccoli a cui offriamo percorsi diagnostici e abilitativi, fino a persone adulte e anziane. I servizi abilitativi sono ambulatoriali, quelli socio-sanitari vengono erogati all’interno di strutture residenziali e semiresidenziali come l’Officina dell’Arte, un centro di lavoro per persone con autismo.
Quando è partita la pandemia, con tutte le difficoltà del caso, i provvedimenti nazionali e poi le disposizioni regionali hanno imposto la chiusura dei servizi ambulatoriali e semi-residenziali e il mantenimento dei servizi residenziali, e questo ha significato lasciare a casa un centinaio di bambini e ragazzini che noi seguivamo settimanalmente. Le famiglie hanno dovuto riorganizzare la vita attorno ad un’assistenza e un accudimento che doveva essere persino maggiore rispetto al passato, ma con delle grosse limitazioni, come quella di non poter uscire.
Rimaneva il grave problema di come fare, da un lato a garantire la continuità assistenziale e dall’altro quella riabilitativa perché il rischio è che se non seguite le persone con autismo possono andare incontro ad una regressione delle abilità acquisite.
Ci siamo subito mobilitati e già a marzo 2020 eravamo tutti davanti al computer. In letteratura c’era poco o nulla sulla tele-riabilitazione, così come sulla tele-didattica, ma noi siamo stati l’unico centro in FVG che non ha mandato nessun operatore, e nessuno dei nostri professionisti in cassa integrazione. Abbiamo mantenuto attivo il servizio e, con un’attenzione a quelli che sono i criteri basati sull’evidenza scientifica, ci siamo inventati una nuova modalità di lavoro, garantendo la continuità sanitaria. Il nostro ufficio che si occupa di multimedialità si è attivato anche per dare assistenza alle famiglie. Ce n’erano alcune che non sapevano neanche dell’esistenza di Skype piuttosto che di Zoom. Abbiamo consegnato alle famiglie il materiale di supporto all’attività abilitativa perché potessero seguire a casa le indicazioni dei terapisti. Abbiamo quindi fornito tele-riabilitazione e abbiamo continuato a fornire l’assistenza alle famiglie, ovvero il parent-training così come il teacher-training perché anche gli insegnanti si sono trovati nella difficoltà di fare didattica a distanza con bambini con autismo. Già è difficile in presenza, a distanza è ancora più difficile. Alcune persone che noi seguiamo sono molto gravi, con problemi comportamentali, per cui abbiamo avviato un servizio di consulenza psicologica e neuropsichiatrica h 24.
La motivazione è stata l’elemento che ci ha permesso di superare le difficoltà. Una grande motivazione data dal fatto che la nostra Fondazione ha una storia importante: è nata per la volontà mia e di mio marito che abbiamo un figlio con autismo molto grave, che ci fa mettere nei panni di tutte le famiglie che seguiamo. La motivazione è quella spinta per cui non ci si arrende. Ci siamo detti: non sarà la pandemia a fermarci. Altre componenti essenziali sono la fantasia e la flessibilità. Nel nostro campo è assolutamente necessario mettersi in un’ottica di continua ricerca di soluzioni. Anche i nostri terapisti inizialmente si sono sentiti disorientati ‘Ci stai chiedendo di fare una cosa che non abbiamo mai fatto e non siamo sicuri se ne saremo capaci’, ci dicevano. E la risposta è stata: ‘sì, e vi daremo il supporto necessario, non dobbiamo perdere di vista la nostra mission specie in questo momento!’.
Il tutto, però, si è risolto con risultati entusiasmanti e che non ci aspettavamo. Al punto che stiamo facendo adesso un progetto di ricerca su come fare tele-riabilitazione cercando di stabilire quali indicatori di evidenza ci possono essere.
Ma abbiamo visto anche molta sofferenza, non proprio all’inizio ma dopo, oggi, con la seconda e terza ondata del virus: tutti i nostri dipendenti e i nostri collaboratori lavorano con una materia in un ambito molto difficile, molto stressante. Abbiamo ragazzi che picchiano la testa contro il muro, persone che picchiano gli operatori, persone che cadono con crisi epilettiche. Sono situazioni di lavoro molto pesanti. Come direzione, all’interno delle nostre possibilità, cerchiamo di sostenere i nostri operatori con politiche formative ed economiche che ne riconoscano il valore, però è chiaro che queste persone hanno bisogno di una valvola di sfogo che, in tempi normali, è la socialità, la vacanza, il tempo libero. Quando il lavoro diventa l’unico tuo momento al di fuori di te stesso e dei tuoi rapporti intimi, ebbene la situazione sul piano psicologico diventa pesante. E’ necessario essere molto resilienti.