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Paola Marano

Presidente Cooperativa Sociale Karpòs

Nel 2020, abbiamo chiuso il bilancio in attivo, malgrado il COVID: nella sfortuna abbiamo avuto la fortuna di lavorare in settori essenziali.

La cooperativa Karpòs, con il 60% di socie donne e un CdA tutto femminile, è nata nel 2003 dalla volontà di alcuni/e soci/e che, a seguito di un incendio che aveva completamente distrutto la propria cooperativa, avevano deciso di continuare costituendo una nuova cooperativa e mantenendo così il proprio lavoro fornendo servizi di pulizie e facchinaggi. Nel corso del tempo la cooperativa ha evoluto il proprio campo di azione alla gestione dei rifiuti fino alla costituzione di una nuova unità produttiva dedicata al riuso dei tessuti e degli accessori basandosi sul concetto dell’economia circolare. Karpòs deriva dal greco, vuol dire frutto e, collocato in determinate frasi, può anche significare “frutto, come prodotto del proprio lavoro”. Il nome è stato trovato da un nostro socio mentre era in carcere.

Da più di 20 anni sono una cooperatrice sociale e ho due interessi prevalenti: in primo luogo le problematiche legate alle donne in generale e più recentemente mi sono appassionata all’Economia Circolare da quando ancora veniva indicata con il nome di Green Economy. Lavorare nel settore dei rifiuti è appassionante perché è complesso e ricco di opportunità ma l’ambiente dei rifiuti è essenzialmente maschile e quindi è stata una sfida introdursi e far valere le proprie competenze tecniche in quanto donne. E quindi sì, è stato difficile e io stessa ho dovuto adottare comportamenti o atteggiamenti maschili per lavorare, non solo nei confronti dei competitors ma anche all’interno del nostro ambiente di lavoro.

Karpos attualmente gestisce la filiera di qualsiasi tipologia di rifiuto attraverso la raccolta, lo stoccaggio e l’avvio al recupero o smaltimento. I rifiuti tecnologici, nello specifico i case dei computer, vengono lavorati nel nostro laboratorio “RAEEnter” strutturato nel nostro impianto di Porcia con la finalità di creare un luogo di osservazione propedeutico all’inserimento nel mondo lavorativo di soggetti svantaggiati.

La “svolta verde” di Karpos è iniziata nel 2008 con la prima grande crisi. In quel periodo, ci occupavamo anche della raccolta degli indumenti per la Caritas e della raccolta dei toner esausti ma il settore primario della cooperativa, quello delle pulizie, stava perdendo fatturato. Abbiamo così pensato di ampliare il settore della raccolta ad altre tipologie di rifiuti dotandoci di autorizzazioni specifiche e implementando nuove modalità di raccolta, superando così la sola possibilità di stoccaggio in impianto. Tutti i soci e le socie sono stati/e formati/e per dare un servizio con competenza e di qualità ricomprendendo anche gli altri servizi (pulizie e facchinaggi) nel settore ambientale. Attualmente la cooperativa è certificata ISO 9001:2015 relativamente alle attività di pulizia e sanificazione, e gestione rifiuti.

In questi anni, abbiamo avuto sempre il desiderio di aprire una sartoria perché, nel nostro immaginario, poteva essere un luogo dove le nostre socie impiegate nelle pulizie, ma anche altre donne che facevano lavori usuranti, potevano lavorare anche quando raggiungevano una certa età e non sarebbero più riuscite a fare lavori pesanti. Penso alle nostre signore delle pulizie che a 60 anni sono stanche e devono lavorare ancora parecchi anni prima di andare in pensione. Nel 2019 è uscito il bando del comune di Pordenone “Un’impresa accessibile e inclusiva” e ci siamo dette: “Donne ora o mai più!”. Abbiamo così presentato il progetto che ha avuto un buon punteggio e ottenuto un contributo che ci ha permesso di concretizzare il nostro desiderio. Non è una sartoria classica perché il titolo del nostro progetto è: “Laboratorio manuale e mentale per un’economia circolare e solidale”. E’ un laboratorio di riuso tessile e non solo; è anche un centro dove tutto quello che verrà prodotto deriverà da scarti di tessuti o di oggetti. Il progetto prevede anche l’organizzazione di corsi e laboratori sul riuso rivolti sia ai bambini che agli adulti ma anche incontri sull’economia circolare per instillare nella comunità il concetto della circolarità e del riuso. Il laboratorio è rivolto principalmente a donne in difficoltà e vorremmo anche creare dei momenti d’incontro lavorativo tra giovani donne e donne anziane. Questo connubio porterebbe da un lato alla salvaguardia degli antichi mestieri, dall’altra all’innovazione insita nelle giovani generazioni, con la finalità di perseguire l’invecchiamento attivo. L’abbiamo chiamato “Ridoprìn Lab”. Questo nome deriva dalla frase in lingua friulana “tornìn a doprà” che tradotto significa riusiamo.

Nella letteratura la resilienza è un concetto che indica la capacità di fare fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.
Ritengo che la storia di Karpos dimostri come la cooperativa abbia in sé stessa il seme della resilienza, e all’occorrenza, questo si sviluppi e dia i propri frutti.

Voglio concludere citando un articolo di Lucia Capuzzi apparso su Avvenire il mese di marzo 2021:
La pandemia s’è rivelata un amplificatore delle diseguaglianze. Inclusa quella di genere. «La vulnerabilità di un numero enorme di donne nel globo è cresciuta. Eppure, tante hanno dimostrato una straordinaria capacità di resilienza», afferma un report della Commissione vaticana Covid-19, creata dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. «Questa è una pandemia che rispetta le donne un po’ meno degli uomini, perché lavorano nei settori più colpiti, perché anche in casa lavorano più degli uomini, perché sono sempre più spesso vittime di violenza domestica», afferma suor Alessandra Smerilli, responsabile della Task-force Economia dell’organismo vaticano. E aggiunge: «La Commissione, se da una parte vuole mettere in evidenza queste difficoltà, dall’altra vuole lanciare il messaggio che proprio le donne possono essere protagoniste della rigenerazione di un tessuto economico e sociale, il quale dovrà essere necessariamente diverso dopo la pandemia. Le donne sanno che cosa vuol dire prendersi cura e possono insegnarlo alla collettività».