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Fabio Cadamuro

Presidente ASCOM-FIPE

E’ stato davvero un periodo lungo, circa 14 mesi, e solo ora si vede una flebile luce in fondo al tunnel. All’inizio, mi riferisco al lockdown di marzo-aprile-metà maggio 2020, eravamo all’emergenza come non si era mai vista prima. In quel momento, è prevalso il sostegno psicologico, e far parte di una associazione come Ascom-Confcommercio-Fipe è stato un aiuto.
All’inizio era tutto un succedersi di telefonate, di chat e io, che ero stato eletto presidente di Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) a febbraio, ho dovuto scalare una montagna.

Il 18 maggio abbiamo riaperto ed è stato un bel momento, come quando ritorni a scuola e ritrovi i compagni, in questo caso i clienti: ci siamo virtualmente abbracciati e siamo andati avanti. L’estate è andata discretamente bene: diciamo che abbiamo avuto una boccata d’ossigeno. A fine settembre-ottobre, è arrivata la seconda ondata e poi siamo passati attraverso questo “gioco”, non trovo altri termini, dei colori, rosso, arancione, giallo, ed è stata un’agonia perché i cambiamenti continui di colore non permettevano alcuna organizzazione. Io mi occupo di bar, gelaterie, pub, pasticcerie. Per i ristoranti è andata ancora peggio. Per loro la programmazione è tutto: se hai un carico merce al venerdì, e poi ti dicono di chiudere la domenica perché il colore è cambiato, è un disastro.

Il mio aiuto agli associati è stato quello di informarli sulle norme che di volta in volta venivano introdotte, possiamo anche dire di “tradurle” in quanto spesso di difficile o dubbia interpretazione. A questo riguardo voglio ringraziare gli uffici di Ascom per il prezioso lavoro svolto.

Poi siamo arrivati a Natale/Capodanno, un periodo di forti guadagni per questo settore, eravamo in zona arancione/rossa, quindi, di fatto, chiusi. E’ cominciato il 2021 e si continuava a parlare di stato d’emergenza. Io capisco l’uso di questo termine per i primi tre mesi (marzo-maggio 2020) ma dopo no: la pandemia di fatto era una situazione con cui bisognava imparare a convivere. I protocolli sono sempre stati adottati con professionalità e rigore, noi per primi vogliamo tutelare la salute dei clienti e dei nostri collaboratori.

Siamo arrivati al quattordicesimo mese. Se c’è stata quindi resilienza? Direi in maniera convinta di sì. Naturalmente, dalla pandemia non stanno uscendo tutti alla stessa maniera. Non abbiamo ancora il quadro completo di chi ce l’ha fa a resistere e chi no: alcuni hanno avuto finanziamenti, altri prestiti da parenti, altri ancora hanno prosciugato i risparmi d’una vita. Credo che il problema sarà a fine d’anno e, quindi, spero nella ripartenza di maggio e non voglio nemmeno pensare a un settembre-ottobre 2021 simile a quello scorso.

Vogliamo parlare dei ristori? E’ un termine che non mi piace. Il ristoro è il ‘Gatorade’ che dai al ciclista durante la corsa; ma a fine corsa il ciclista deve rifocillarsi. Alla fine della pandemia ci sarà bisogno non di ristori ma di risarcimenti, anche perché le attività del nostro settore sono state chiuse per decreto, non per manifesta incapacità imprenditoriale. E, mentre noi rimanevamo chiusi, i costi fissi sono rimasti gli stessi. Voglio ringraziare anche le Amministrazioni Locali e la Regione in quanto, nel limite del possibile e delle limitate risorse a disposizione, ci hanno fatto sentire la loro vicinanza e per noi è stato molto importante.

Quello che come Federazione abbiamo sempre chiesto è: regole certe, aperture in piena sicurezza e, soprattutto, controlli. Mettere dei divieti senza controlli significa favorire i furbi a scapito di chi rispetta le regole. Bisogna tener presente che col passare dei mesi si è passati dall’ ‘abbracciamoci tutti’ all’inevitabile ‘ognuno per sé’. Un altro errore è stato ‘fare di ogni erba un fascio’: un conto è la movida di Milano, un altro è quella di Pordenone che, d’inverno, ha già di suo il coprifuoco. Se il problema erano i navigli di Milano, si dovevano chiudere i navigli. O, al contrario ma con lo stesso criterio, differenziare una zona virtuosa all’interno di una regione complessivamente con dati epidemiologici peggiori.

Un aspetto che, in generale, è stato sottovalutato o dato per scontato è l’importanza dei pubblici esercizi nella nostra società e cultura: bar, ristoranti, pub, ecc. sono luoghi di convivialità e socialità. Questa pandemia, oltre ad aver evidenziato le fragilità di questo settore, in quanto non ci sono alle spalle multinazionali con portafogli gonfi, ma spesso ci sono famiglie, ci ha fatto capire quale rotta dobbiamo intraprendere. Non dobbiamo più essere solo baristi, camerieri, addetti di sala…ma dobbiamo essere Imprenditori della ristorazione. Ed è in questa direzione che Fipe vuole andare per un futuro che ridia dignità e importanza a questo comparto. Spero che, dopo questa pandemia, ci sarà una riconsiderazione del nostro ruolo.