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"Pordenone 2020: una città per tutti"

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Giuseppe Marinelli

Ideatore e Direttore della Pordenone Design Week

Molti anni fa apparve una deliziosa vignetta di Altan così costruita: il figlio di Cipputi va dal padre e gli dice: “Papà: voglio una vita spericolata. E Cipputi flemmatico rispondeva: ce l’hai già, “Italiano!” Immagino che questo dipenda dal fatto che noi italiani siamo “nati resilienti”.

Sono un architetto, e docente dell’ISIA di Roma, una facoltà di design del MIUR creata da Argan più di 40 anni fa, per sviluppare la didattica del design in un mondo in cui il design cominciava a diventare sempre più importante e diffuso.

La scuola ha siglato 10 anni fa una convenzione con il Consorzio Universitario di Pordenone per l’erogazione di un corso triennale all’interno del suo campus, ed a me è stato affidato l’incarico di coordinare il tutto, fondare una scuola da zero, farla crescere ed integrarla nella realtà culturale pordenonese. Una bella sfida!
Tecnicamente parlando non è che mancassero le motivazioni: benché sia una città piccola Pordenone è una capitale industriale di un territorio manifatturiero importante, ha un PIL significativo, ha centinaia di aziende, un’associazione industriale prestigiosa, ospita e gestisce corsi universitari decentrati. E’ dunque un territorio decisamente interessante e poi a giudicare dalle sue maggiori manifestazioni culturali emerge che è anche una città dinamica molto più di quanto non appaia dall’esterno. Al nostro arrivo nonostante un’ottima accoglienza, emergeva però la sensazione che verso il design non si potesse aprire più di tanto. Erano gli anni della crisi dei titoli subprime dove, secondo i media in Italia chiudeva un’azienda ogni venti minuti e quel territorio ne stava soffrendo parecchio. Così, che io nel 2011 ho voluto dare un segnale unilaterale positivo di energia sociale decisamente resiliente e mi sono inventato la “settimana del progetto”, una manifestazione collaborativa pro-bono diretta alla città per dare un messaggio forte di ottimismo e vitalità ma soprattutto per segnalare il grande potenziale che rappresentava la presenza di una scuola di design: una risorsa preziosissima, immancabile in qualunque scenario credibile di superamento della crisi.

Nel merito succede questo: l’ISIA offre per una settimana le proprie risorse creative e progettuali alle aziende e alle istituzioni che vogliono partecipare, alla fine si trae un bilancio rigoroso del tutto e si analizzano i risultati. La cosa ha avuto un enorme successo e gli studenti, nonostante la giovane età sono stati molto apprezzati, il tam-tam è stato immediato e l’anno successivo le richieste di iscrizione all’ISIA si sono quadruplicate. Bingo! Da quel momento la crescita di consenso della PDW è stata inarrestabile e almeno per i primi anni questa ha trainato con sé la crescita inarrestabile anche delle iscrizioni al Corso di Design, diciamo che le due realtà sono cresciute di pari passo per anni. Poi ovviamente l’intelligenza e la serietà dei corsi ISIA si è affermata in modo tale che le due entità si sono stabilizzate fra similitudini e differenze.

Più di una volta mi è stato chiesto se questo non possa rappresentare un modello valido anche a scala nazionale: ebbene, previa lettura attenta delle diversità da territorio a territorio, la risposta è decisamente si. Solo che richiede un mix di fattori non banali come molta sensibilità relazionale e una cultura del design fuori del comune. Tuttavia c’è un discorso di cui non sempre si parla ma che getta una ulteriore luce nella lettura di questo evento, e cioè che questa PDW nasce dentro a tutto quel dedalo di cause-effetti che sociologia ed economia contemporanee hanno ben inquadrato come ”passaggio da società complicate a società complesse”, indicando con questo la vera matrice della crisi. Quindi in un certo senso la PDW nell’offrire la sua collaborazione alle imprese del territorio intendeva segnalare anche un modo diverso di fare didattica, un possibile modello sperimentale, non in alternativa ma parallelo a quello ufficiale e che ne che implementava la didattica. Ne era di fatto un empowerment in perfetta linea con la complessità dei tempi. Ricordiamoci che quella crisi coincideva anche con il tempo della rivoluzione digitale, con gli effetti inquietanti di algoritmi finanziari globalizzati, per non parlare dell’emergenza climatica e di tutti i paradossi ambientali a partire dallo spreco alimentare e i diritti umani. Tutte queste componenti vanno a definire un profilo di Design “Critico” o Social, che è sempre stato parte fondativa di questa manifestazione sin dai suoi inizi.
Il fatto è che l’umanità ha compiuto da tempo un salto di scala in tutti i campi: tecnologico politico, finanziario, e il design ha cercato di seguire questo salto proponendosi in una veste diversa, propensa ad un cambiamento di mentalità ed è proprio un cambio di paradigma che sta dietro il modo di lavorare della e nella PDW.

Sia chiaro: workshop fra industria e design non sono certo una novità, ma quello che invece lo è, è la creazione di una relazione strutturale fra pezzi della società italiana e metterli a sistema per cooperare assieme onde vincere una crisi e rilanciarsi. Il che ne fa una esperienza anche umanamente delicata perché parliamo della vita di aziende che lottano duramente con tenacia ammirevole. Ora dopo dieci anni, la Design Week è diventata una realtà che muove oltre trecento persone, che ha lavorato con 100 aziende, prodotto progetti di tutte le tipologie e aiutato aziende di tutti i tipi e dimensioni a cogliere importanti obiettivi.
Una collaborazione eclatante! Nel 2016 poi mi ha chiamato l’Agenzia del FVG di Bruxelles per incoraggiarmi a partecipare agli European Design Days gestiti da ERRIN e i quella circostanza siamo arrivati terzi in tutta Europa. Penso che quel riconoscimento prestigioso ci ha portato una considerazione che ha cambiato definitivamente lo sguardo di tutti su di noi.

Ed ecco, nel 2020, la Pandemia. Resilienza: “il ritorno”. Il lockdown scatta una settimana prima di tagliare il nastro della nona design week. Io penso: un anno buttato via. Allora parlo con la Regione per capire il da farsi e nasce il discorso della proposta on line.
A prima vista sembrava un azzardo totale ma poi, alla fine valutando i pro e i contro abbiamo deciso di buttarci. Tutti e 10 i Workshop con le rispettive aziende, committenti, tutor, piattaforme di software condivisi sono stai coinvolti. All’inizio assomigliava un po’ ad un salto nel buio ma invece il bilancio è stato entusiastico con commenti esaltanti da parte di tutte le aziende. Che io sappia questa è stata la prima esperienza in assoluto in Italia di progettazione on line di tali dimensioni, almeno trecento fra studenti tutor aziende e designer in cinquanta città italiane, trovo strano che non stia nelle prime pagine dei giornali o che non sia ospite dei media. Oggi, per noi è diventata una cosa normale ma a pensarci bene è una esperienza notevole. Il prossimo step sarà promuovere “Pordenone Città del Design’, dando stabilità a tutto questo movimento sottraendolo ad una dimensione temporanea a dispetto dei sostanziosi contenuti che mette in campo, molto strutturati e articolati. Stiamo lavorando con le amministrazioni di regione e comune, sempre molto sensibili al riguardo, sul progetto di un “Centro Internazionale del Design, del trasferimento tecnologico, della sostenibilità e creatività” in funzione rigenerativa del tessuto sociale e urbano oltre che di punto di riferimento regionale, dedicato soprattutto ai giovani e alle loro legittime aspettative di avere nel duemila un humus culturale cittadino diffuso degno di tale nome e adeguato ai tempi. Questo Centro una volta inaugurato sarà l’Hub di un Ecosistema Culturale regionale fatto di cultura creativa e ambientale, di stimoli e idee. La letteratura che, dati alla mano, dimostra il ruolo fondamentale che un clima culturale aperto e inclusivo gioca per la crescita complessiva di una città è sconfinata. Dopo la cupa sceneggiatura della pandemia sta arrivando il momento di progettare il futuro che più amiamo, e noi ci siamo!