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"Pordenone 2020: una città per tutti"

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Giulio De Vita

Founder PAFF!

Quello del PAFF! è in origine un progetto molto resiliente. Già il fatto di voler salvare dal degrado urbano gli spazi in cui è stato realizzato, attraverso un progetto culturale, ha un collegamento con la resilienza: infatti, abbiamo dovuto abbattere tutte le reticenze che si frapponevano a questa idea dirompente, innovativa, coraggiosa e fuori dagli schemi. Forse più resistenti che resilienti, perché con caparbietà abbiamo perseguito questo lavoro di convincimento verso le istituzioni che sono state ricettive. Io avevo già da solo proposto l’idea che però non era stata recepita come credibile perché era un fumettista a proporla, ma nel momento in cui gli stessi concetti sono stati espressi da persone autorevoli del settore, architetto, amministratore delegato per la sostenibilità finanziaria, ecc., sono diventati convincenti. Poi, abbiamo avuto delle resistenze da parte dei detentori dello status quo, settori culturali della città che definivano uno scempio che un posto così bello venisse dedicato a ‘questa cosa per bambini’, denigrando un po’ l’idea e perdendo di vista quel è il potenziale culturale del fumetto.

Sempre nell’ottica di esplorare anche a costo di non ottenere i risultati desiderati, ogni tanto capita di avere intuizioni e sulle intuizioni si innova e si va avanti.

Il fatto di essere pronti a sbagliare, quando arrivano gli imprevisti, ti consente di essere già pronto ad affrontare le difficoltà.

Lo Smart working, noi avevamo già cominciato prima del Covid ad utilizzarlo, e quindi avevamo già in piedi delle dinamiche smart: snellezza, velocità e ,in particolare, adattamento agli imprevisti. Questi elementi sono nel DNA del PAFF!. Così, durante la pandemia abbiamo avviato corsi online, abbiamo approfittato del tempo per tessere relazioni con altri soggetti culturali della città promuovendo una nuova iniziativa intitolata ‘Unlockable creativity’, che prevede workshop con teatro, con Cinemazero e Pordenonelegge, per un confronto su quel che si poteva fare durante la pandemia ma, due passi oltre, per immaginare il futuro. E abbiamo fatto un progetto benefico, un libro, ottimizzando il tempo per realizzare ciò che in una situazione ordinaria non avremmo avuto il tempo di fare.

Inoltre, noi partiamo sempre dall’idea di reinventare l’idea di un territorio culturale. Per esempio, le inaugurazioni di una mostra nella normalità si fanno sempre il venerdì o il sabato, creando degli ingorghi. Noi ci siamo detti ‘perché non farle in altro momento?’. E allora abbiamo scelto la domenica pomeriggio, momento in cui le famiglie non sanno che cosa fare se non andare agli ipermercati. Abbiamo ottenuto un ottimo successo per attrarre fasce di pubblico differenziate, non sempre le stesse persone. Per avvicinare i giovani ci siamo chiesti chi sono i nostri early adopters: probabilmente gli insegnanti, le maestre. Quindi abbiamo dedicato la prima inaugurazione di una grossa mostra esclusivamente agli insegnanti. In seguito, gli insegnanti hanno cominciato a proporci delle collaborazioni: invece di portare i bambini al PAF siamo andati noi da loro. Abbiamo utilizzato la metodologia del learning by doing, in modo che le attività didattiche si integrassero con le esposizioni e con le relazioni che noi stiamo intessendo con le imprese. La sinergia e la collaborazione con le associazioni del territorio è un altro punto fermo della nostra attività.

Durante la pandemia abbiamo anche utilizzato la webradio con un palinsesto settimanale: la diretta, poi viene fatto il podcast, e vengono raccolti sul sito tutti i contributi. Si scelgono gli autori e poi ogni tanto capitano degli eventi e allora si realizzano delle puntate speciali. Infine, dopo il primo lockdown sulle mostre non sapevamo quali fossero tutti i protocolli da seguire (percorsi, flussi, incroci di pubblico): Così abbiamo deciso di fare due mostre a budget zero per fare dei test. Pensavamo che le persone sarebbero state reticenti ad entrare in spazi di cultura ma abbiamo realizzato queste due piccole mostre per sperimentare le metodologie. Abbiamo concepito gli spazi come se fossero un’area di feedback con il pubblico..